
Applicazione della normativa sul whistleblowing: dichiarazione di nullità del licenziamento ritorsivo
Con sentenza n. 1680 del 6 giugno 2025, il Tribunale di Milano ha dichiarato nullo il licenziamento per giusta causa intimato a seguito di una segnalazione whistleblowing, valorizzando la tutela del segnalante e l’inversione dell’onere della prova in capo al datore di lavoro.
Caso esaminato
Il caso in esame riguarda un lavoratore licenziato pochi giorni dopo aver effettuato una segnalazione tramite il canale aziendale riservato e dopo aver espresso valutazioni critiche nei confronti della propria responsabile gerarchica, di cui quest’ultima veniva a conoscenza; alla segnalazione seguiva un procedimento disciplinare che si concludeva con il licenziamento per giusta causa del dipendente.
La posizione del Tribunale
All’ esito dell’attività ispettiva, il Tribunale ha ritenuto provata la natura ritorsiva del licenziamento in ragione, da un lato, della stretta consequenzialità temporale tra la segnalazione ed il licenziamento successivo e dall’altro dall’assoluta genericità e irrilevanza disciplinare degli addebiti posti a fondamento del licenziamento per giusta causa.
- Rispetto al primo profilo (consequenzialità temporale), l’art. 17, comma 2, D.lgs. 24/2023 introduce un particolare regime probatorio che stabilisce una presunzione relativa di ritorsione in favore del segnalante secondo cui si presume che gli atti ritorsivi, che si verificano in un breve arco temporale successivo, siano conseguenza della segnalazione salvo prova contraria da parte del soggetto autore della misura. Tale norma comporta un’inversione dell’onere della prova in favore del whistleblower, imponendo all’autore della condotta denunciata di dimostrare l’esistenza di un motivo legittimo, autonomo e distinto rispetto alla segnalazione .Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato che non è stata fornita alcuna prova che potesse giustificare né dimostrare l’inidoneità causale della segnalazione al licenziamento; la ravvicinata sequenza temporale tra la segnalazione e il licenziamento ha quindi attivato la presunzione di cui all’art. 17 ed il conseguente onere probatorio in capo al datore di lavoro è rimasto inadempiuto.
- Rispetto al secondo profilo (genericità e irrilevanza disciplinare dei motivi di licenziamento), il Tribunale ha evidenziato la natura generica degli addebiti contestati, nonché la loro inidoneità ad integrare una condotta disciplinarmente rilevante. Come noto, il licenziamento per ritorsione si concretizza nell’ingiusta e arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo e incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare che il licenziamento è stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo. Tuttavia, la Cassazione ha precisato che l’onere della prova del lavoratore è un onere successivo e non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo alla base del licenziamento. Nel caso in esame, non è stato contestato alcun comportamento avente rilevanza disciplinare né tale da integrare la giusta causa di licenziamento. Le contestazioni mosse erano infatti del tutto generiche (ad es. mancata indicazione di specifici appuntamenti disattesi dal dipendente; assenza di dettagli su contenuti, tempi e modalità della formazione che avrebbe dovuto predisporre). In particolare, in materia di licenziamento disciplinare rileva ogni comportamento che, per la sua gravità, comprometta il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e renda impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo, derivante dall’inidoneità della condotta del lavoratore ad attuare diligentemente gli obblighi assunti.Sotto quest’ultimo profilo, l’unico episodio effettivamente ricostruibile – relativo al mancato collegamento da remoto con la responsabile in occasione di una visita commerciale – non presentava alcun contenuto disciplinarmente rilevante. Risultava altresì accertato che, già prima dell’interruzione del rapporto, la società avesse disattivato la casella e-mail aziendale del lavoratore e avviato la selezione di un nuovo profilo professionale equivalente al suo; tali comportamenti concretizzano un pregiudizio al diritto di difesa del lavoratore.
In definitiva, la stretta contiguità temporale tra la segnalazione e il licenziamento, nonché l’irrilevanza disciplinare e insussistenza dei fatti addebitati, costituiscono chiari indici dell’intento ritorsivo del licenziamento.
Sulla base di tali elementi, il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento per motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c., con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015.
Conclusioni
La pronuncia in esame assume un ruolo significativo in quanto attua concretamente le disposizioni in materia di whistleblowing, valorizzando la protezione effettiva del segnalante, l’applicazione della presunzione di ritorsione ex art. 17 D.lgs. 24/2023 nonché l’inversione dell’onere probatorio in capo al datore di lavoro. La stessa ribadisce, infine, la necessità di sanzionare le condotte ritorsive attuate anche sotto forma di procedimenti disciplinari. La sentenza può definirsi come paradigmatica dell’applicazione della nuova normativa sulla tutela del segnalante illeciti.