Accesso documentale difensivo – il TAR Lazio afferma il principio di trasparenza contro l’anonimato della segnalazione: panoramica della giurisprudenza degli ultimi anni
A cura di Rosalisa Lancia, DG Area Formazione e Consulenza di Legislazione Tecnica
Con sentenza 19769 del 7 novembre 2025, il TAR Lazio Roma ha confermato un principio essenziale in materia di accesso documentale difensivo: il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le segnalazioni che hanno determinato l’attivazione di tale potere. La tutela della riservatezza, secondo il TAR, non può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei soggetti segnalanti, salvo la circostanza concreta che il soggetto segnalante potrebbe essere esposto ad azioni discriminatorie o indebite pressioni a seguito della conoscenza della sua identità
Fattispecie
Una Fondazione richiedeva al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’accesso a una segnalazione ricevuta dall’amministrazione vigilante riguardante presunte irregolarità nella gestione della fondazione stessa. La segnalazione denunciava la mancanza dei requisiti richiesti dallo Statuto in capo al Presidente, l’assenza dei necessari requisiti in capo a molti soci e il ruolo improprio svolto dal Presidente onorario. La Fondazione richiedeva l’accesso non solo alla segnalazione ma anche a tutta la corrispondenza intercorsa, motivando la richiesta con la necessità di “valutare l’esistenza dei presupposti per promuovere iniziative difensive e risarcitorie nei confronti dei segnalanti“, anche in applicazione delle norme statutarie che prevedono l’ineleggibilità e la decadenza dalla carica per chi abbia causato danno alla fondazione.
Il MEF negava l’accesso sostenendo che la segnalazione aveva natura “meramente sollecitatoria” dell’attività di vigilanza e che mancava il nesso di strumentalità con le esigenze difensive prospettate. In particolare, argomentava che “non è chiaro come il documento richiesto ai sensi della L. 241/90 possa essere strumentale per la tutela degli interessi della Fondazione” e che “si ritiene non chiara la pertinenza e l’idoneità probatoria del documento richiesto rispetto alla situazione giuridica finale da tutelare“.
In conseguenza di tale diniego, la Fondazione impugnava il diniego dinanzi al TAR Lazio.
Posizione del TAR e iter logico seguito
Il Tribunale ha confermato l’interesse difensivo del ricorrente, argomentando articolatamente la necessità difensiva della Fondazione come segue.
- Il diritto di accesso del soggetto sottoposto a vigilanza
In via preliminare, il TAR ha ribadito che il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato e differenziato rispetto alla generalità dei cittadini a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza. Questo interesse trova fondamento nel diritto di difesa e nella necessità di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, principi cardine dell’ordinamento giuridico italiano e sovranazionale.
- Il bilanciamento tra trasparenza e riservatezza
Sul delicato tema del bilanciamento tra diritto di accesso e tutela della riservatezza dei segnalanti, il TAR ha affermato che la tutela della riservatezza non può assumere un’estensione tale da trasformarsi in un generico “diritto all’anonimato”. Chi assume iniziative che incidono nella sfera giuridica di terzi non può pretendere di rimanere anonimo, salvo la dimostrazione della sussistenza di particolari ipotesi in cui il soggetto segnalante potrebbe essere esposto ad azioni discriminatorie o indebite pressioni.
- L’interpretazione del requisito della necessarietà
Il TAR ha poi fornito un’interpretazione pratica del requisito della necessarietà previsto dall’art. 24, comma 7[1], della Legge n. 241 del 1990. I giudici hanno chiarito che tale requisito non può essere inteso nel senso di richiedere all’istante una prova rigorosa della necessità della conoscenza dei documenti, poiché ciò comporterebbe una “probatio diabolica” che svuoterebbe di senso logico la norma. La necessarietà deve invece essere dimostrata su basi presuntive, in relazione all’utilità che il richiedente potrebbe presumibilmente ricavare dalla conoscenza dei documenti richiesti.
- I limiti del controllo giurisdizionale
Il TAR ha infine ha precisato che l’amministrazione e il giudice amministrativo non devono svolgere ex ante valutazioni sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nel futuro giudizio, competendo tale apprezzamento all’autorità giudiziaria eventualmente investita della questione, salvo il caso di evidente e assoluta mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive.
Principio di diritto enunciato
In esito al ricorso, il TAR Lazio ha enunciato il seguente principio di diritto, articolato in tre specifici aspetti:
- in materia di accesso documentale difensivo, il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le segnalazioni che hanno determinato l’attivazione di tale potere;
- la tutela della riservatezza non può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative incidenti nella sfera giuridica di terzi, salvo la dimostrazione della sussistenza di particolari ipotesi in cui il soggetto segnalante potrebbe essere esposto ad azioni discriminatorie o indebite pressioni;
- il requisito della necessarietà su cui si fonda la ratio dell’accesso difensivo di cui al comma 7 dell’art. 24 della L. 241/90 non può essere inteso nel senso di richiedere una prova rigorosa, dovendo essere dimostrato su basi presuntive in relazione all’utilità presumibile della conoscenza dei documenti.
Evoluzione giurisprudenziale
Elemento interessante, a valle della pronuncia, è la conoscenza dell’evoluzione giurisprudenziale segnalando che il diritto all’anonimato del segnalante è oggetto di interpretazioni tra loro contrapposte e fornendo di seguito una breve panoramica.
In senso analogo si è pronunciato:
- il TAR Marche con sentenza n. 7 del 2025, che ha affermato come in materia di accesso difensivo l’amministrazione e il giudice amministrativo non devono svolgere ex ante valutazioni sull’ammissibilità del documento richiesto, competendo tale apprezzamento solo all’autorità giudiziaria investita della questione principale;
- il TAR Veneto con sentenza n. 2319 del 2024 che ha stabilito che la segnalazione che ha dato luogo a un procedimento ispettivo costituisce documento amministrativo ostensibile e che l’amministrazione non può negare aprioristicamente l’accesso invocando generiche esigenze di tutela della riservatezza del segnalante, dovendo procedere a un concreto bilanciamento tra gli interessi in gioco;
- il TAR Campania con sentenza n. 3142 del 2024 che ha confermato che il diritto di difesa prevale sulle esigenze di riservatezza quando la conoscenza dei documenti amministrativi sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici, determinando la riespansione della regola generale dell’ostensibilità degli atti;
- il TAR Lombardia Milano con sentenza n. 629 del 2023 che ha stabilito che “al di fuori di particolari ipotesi in cui il denunciante potrebbe essere esposto ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, il principio di trasparenza deve ritenersi prevalente su quello della riservatezza e non sussiste un diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative incidenti sulla sfera di terzi, poiché una volta che l’esposto è pervenuto nella sfera di conoscenza della pubblica amministrazione, l’autore dell’atto ha perso il controllo su di esso essendo entrato nella disponibilità dell’amministrazione“;
- il TAR Piemonte con sentenza n. 268 del 2023 che ha chiarito che “le denunce, le segnalazioni e gli esposti che hanno dato luogo all’avvio di un procedimento amministrativo di controllo o ispettivo costituiscono atti di pre-iniziativa che confluiscono nel procedimento stesso e devono qualificarsi come atti del procedimento soggetti ad accesso endoprocedimentale“, precisando che “l’interesse del denunciato, quale destinatario del provvedimento finale che l’amministrazione assumerà all’esito dell’attività ispettiva, a conoscere la segnalazione è in re ipsa“.
In senso contrario si è pronunciato:
- il TAR Campania con sentenza n. 6507 del 2025 che ha stabilito che “l’esposto o la segnalazione che costituiscono il presupposto da cui origina un’attività amministrativa di controllo non possono costituire oggetto di accesso documentale quando tale attività si traduca in verifiche ispettive autonome e in verbali di accertamento“, in quanto non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria;
- il TAR Veneto con sentenza n. 1610 del 2025 ha negato l’accesso agli esposti ritenendo che essi “non costituiscono documenti amministrativi in senso proprio, ma atti che si pongono in rapporto di mera occasionalità rispetto all’esercizio dei poteri di controllo della pubblica amministrazione“, precisando che “l’interesse conoscitivo del soggetto sottoposto ad accertamenti è di norma soddisfatto dalla conoscenza degli atti relativi all’attività ispettiva e accertativa effettivamente svolta dall’amministrazione“;
- il TAR Toscana con sentenza n. 1418 del 2025 che ha richiesto una dimostrazione rigorosa del nesso di strumentalità, precisando che “il mero richiamo alla presenza di un procedimento disciplinare e alla qualità di autore di un esposto non può risultare sufficiente a sostenere una motivazione idonea a giustificare l’accesso, non potendosi esercitare in modo generico il diritto di accesso che giustificherebbe altrimenti l’acquisizione di qualsiasi documento anche non correlato, in modo diretto o indiretto, all’oggetto del procedimento pendente“.
In senso intermedio si è pronunciato:
- Il TAR Veneto con sentenza n. 2319 del 2024 che ha stabilito che “l’Amministrazione non può negare aprioristicamente l’accesso invocando generiche esigenze di tutela della riservatezza del segnalante, ma deve procedere a un concreto bilanciamento tra l’interesse difensivo del richiedente e le contrapposte esigenze di riservatezza” e che “qualora sussistano effettive esigenze di tutela del segnalante, l’Amministrazione deve limitarsi ad oscurarne le generalità e le espressioni idonee a identificarlo, consentendo comunque l’ostensione del documento e l’esame del suo contenuto“.
- Il TAR Veneto con sentenza n. 1158 del 2018 che ha operato un bilanciamento più restrittivo ritenendo che “l’ostensione del solo contenuto sostanziale delle segnalazioni, priva dei dati identificativi degli autori e delle date di sottoscrizione, è sufficiente a consentire al destinatario delle contestazioni di esercitare il proprio diritto di difesa“, evidenziando come “il bilanciamento tra le contrapposte esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa e di riservatezza dei terzi segnalanti va operato caso per caso“.
Conclusioni
La sentenza del TAR Lazio 19769 del 7 novembre 2025 rappresenta un punto di convergenza della più recente giurisprudenza in tema di accesso documentale difensivo, sottolineando che il diritto di difesa e la trasparenza amministrativa non possono essere compressi da un’interpretazione troppo estensiva delle esigenze di riservatezza e riconoscendo il diritto del soggetto sottoposto a vigilanza di accedere integralmente alle segnalazioni che hanno determinato l’attivazione del potere amministrativo.
Tale tendenza, inoltre, conferma l’approccio pragmatico al requisito della necessarietà nell’accesso difensivo, rifiutando interpretazioni eccessivamente rigorose che potrebbero svuotare di significato il diritto di difesa.
[1] “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”
