
Natura giuridica degli Ordini professionali e applicazione del codice appalti
A cura di Rosalisa Lancia, Direttore Area Formazione e Consulenza di Legislazione Tecnica
Con la sentenza 7455/2024 il TAR Lazio ha posto fine all’annosa questione relativa all’applicabilità del codice dei contratti pubblici agli ordini professionali quali enti pubblici non economici e, con l’occasione, ha fornito un indirizzo chiarissimo sulla natura degli enti esponenziali di categoria, terminando una disputa pluriennale e fuorviante.
Premessa
La sentenza TAR Lazio n. 7455/2024 affronta una questione di particolare rilevanza nel diritto amministrativo contemporaneo, concernente l’applicabilità del Codice dei Contratti Pubblici agli ordini professionali. La pronuncia si inserisce nel più ampio dibattito sulla natura giuridica di questi enti e sui conseguenti obblighi procedurali cui sono tenuti nell’affidamento di contratti pubblici.
Il contesto e la questione giuridica
La controversia trae origine da un Comunicato dell’ANAC del 28 giugno 2017 con cui l’Autorità aveva qualificato gli ordini professionali come “amministrazioni aggiudicatrici” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016, sottoponendoli pertanto alle regole del Codice dei Contratti Pubblici. Un Ordine professionale di livello nazionale aveva contestato tale interpretazione, sostenendo che la natura peculiare di questi enti – caratterizzata dalla compresenza di elementi pubblicistici e associativi – dovesse comportare l’applicazione dei soli principi generali di cui all’art. 4 del Codice, anziché l’intera disciplina dell’evidenza pubblica.
La natura giuridica degli ordini professionali – Il principio di prevalenza della natura pubblica
Il TAR Lazio ha riconosciuto la peculiare natura degli ordini professionali, definendola efficacemente “ancipite”.
Ed infatti, da un lato, questi enti sono formalmente qualificati come enti pubblici non economici che agiscono quali organi sussidiari dello Stato per la tutela di interessi pubblici connessi all’esercizio delle attività professionali; dall’altro, conservano una dimensione associativa che si manifesta nell’autonomia regolamentare, organizzativa e finanziaria, nonché nel sistema di finanziamento attraverso i contributi degli iscritti.
Questa duplice natura non ha risvolti esclusivamente teorico-formali, ma si riflette nell’operatività di questi enti, che da una parte adottano atti autoritativi incidenti sulla sfera giuridica altrui (si pensi all’iscrizione agli albi, alla comminazione di sanzioni disciplinari, alla vigilanza sull’esercizio professionale), dall’altra svolgono funzioni di rappresentanza e tutela degli interessi categoriali secondo modalità tipicamente associative.
Il TAR ha risolto la questione interpretativa sulla natura di ordini e collegi professionali applicando un principio di prevalenza della natura formale pubblica su quella sostanziale associativa, con riguardo specificamente all’ambito degli appalti pubblici. Tale scelta si fonda su un elemento di sostanziale importanza, quale la tutela della concorrenza nel mercato, che costituisce interesse generale prioritario rispetto agli interessi particolari dell’ente.
A tale ultimo riguardo, la pronuncia chiarisce che solo l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica può garantire “la trasparente e virtuosa attribuzione dei connessi vantaggi competitivi”, che non può essere affidata alle modalità ordinarie di contrattazione privatistica se l’ente contraente rivesta natura pubblica.
Questa impostazione riflette una concezione funzionale della disciplina degli appalti, orientata non tanto dalla natura formale del soggetto quanto dagli effetti che la sua attività contrattuale produce sul mercato.
L’interpretazione sistematica del Codice dei Contratti
Rispetto al principio di diritto enunciato dal TAR, particolarmente significativa appare l’argomentazione sistematica sviluppata dal Giudicante che richiede la lettura del codice dei contratti pubblici pro tempore vigente. La previsione normativa che include espressamente gli “altri enti pubblici non economici” tra le amministrazioni aggiudicatrici (cfr. art. 3, co. 1 lettera a) del D.Lgs. 50/2016) non può essere considerata casuale o ridondante. Al contrario, essa si coordina con la parallela previsione degli “organismi di diritto pubblico”, che mira ad estendere l’applicazione del Codice anche a soggetti formalmente privati ma sostanzialmente pubblici.
La lettura congiunta di questi elementi spiega l’intento del legislatore di assicurare la più ampia copertura possibile delle regole a favore della concorrenza, ricomprendendo sia i soggetti formalmente pubblici (tra cui gli enti pubblici non economici) sia quelli sostanzialmente tali (gli organismi di diritto pubblico).
L’interpretazione letterale della disposizione risulta quindi coerente con la sua ratio sistematica.
Il rapporto con il diritto europeo e il gold plating
Tra gli altri motivi di doglianza, l’Ordine ricorrente aveva eccepito l’anticomunitarietà della disposizione nazionale, sostenendo che l’inclusione degli enti pubblici non economici tra le amministrazioni aggiudicatrici costituiva un’indebita estensione rispetto ai minimi richiesti dalle direttive europee, configurando un caso di gold plating vietato.
Il TAR ha respinto questa censura argomentando che, in realtà, la normativa comunitaria in materia di appalti costituisce infatti un “minimo inderogabile” per gli Stati membri, i quali mantengono un margine di apprezzamento nell’adottare discipline più ampie in materia di concorrenza.
Di qui, l’estensione operata dal legislatore italiano trova giustificazione nella natura già formalmente pubblica dei soggetti interessati e nell’esigenza di tutelare la concorrenza in modo più penetrante rispetto agli standard minimi europei.
Gli indici della natura pubblica
La sentenza riveste anche importanza nel contesto operativo di riferimento perché valorizza alcuni elementi che confermano la natura sostanzialmente pubblica degli ordini professionali, nonostante la loro base associativa.
Tra questi, assume particolare rilievo la natura tributaria delle tasse di iscrizione agli albi, che non configurano semplici quote associative ma veri e propri tributi dovuti per l’esercizio di attività professionali regolamentate.
Questo aspetto è significativo perché dimostra come la dimensione pubblicistica degli ordini non si esaurisca nelle funzioni di vigilanza e controllo, ma si estenda anche al regime finanziario, caratterizzato da entrate di natura tributaria che presuppongono l’esercizio di potestà pubbliche.
Le implicazioni pratiche della decisione
La pronuncia ha importanti ricadute nella gestione e amministrazione degli ordini professionali, che dovranno conformare le proprie procedure di affidamento alle regole del Codice dei Contratti Pubblici. Ciò comporta l’obbligo di rispettare le soglie comunitarie, di applicare le procedure di evidenza pubblica, di osservare i principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento e di rispettare gli obblighi di trasparenza.
A ben guardare, tuttavia, per quanto la decisione del TAR conduca ad ulteriori oneri per gli Ordini, la stessa non appare irragionevole: la natura pubblica degli ordini professionali, infatti, giustifica l’applicazione di regole più stringenti rispetto a quelle applicabili ai soggetti privati, in coerenza con i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione pubblica.
L’applicazione del D.Lgs. 36/2023 agli Ordini professionali: la continuità interpretativa
Stante l’interpretazione e i principi espressi nella sentenza in commento, è necessario evidenziare che gli Ordini professionali ad oggi sono sottoposti alla disciplina del D.Lgs. 36/2023, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici entrato in vigore il 1° luglio 2023 e quindi adottato nelle more della valutazione giudiziale.
La ratio decidendi della pronuncia del TAR del 2024, basata sul codice del 2016, mantiene infatti piena validità anche sotto il vigore del nuovo Codice. L’art. 13 del D.Lgs. 36/2023 conferma l’ambito di applicazione del Codice ai contratti di appalto e di concessione, mentre la definizione di “amministrazioni aggiudicatrici” contenuta nell’allegato I.1 ricomprende espressamente gli “enti pubblici non economici”, in perfetta continuità con la precedente disciplina.
Peraltro, il principio del risultato codificato all’art. 1 del nuovo Codice, che impone alle stazioni appaltanti di perseguire “il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”, rafforza ulteriormente l’orientamento espresso dal TAR.
La concorrenza tra gli operatori economici è infatti funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti, obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica a tutti i soggetti di natura pubblica, compresi gli ordini professionali.
Infine, il principio dell’accesso al mercato di cui all’art. 3 del nuovo Codice impone alle stazioni appaltanti di favorire l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità. Tale principio trova piena applicazione anche agli ordini professionali, in quanto enti pubblici non economici tenuti al rispetto delle regole pro-concorrenziali.
La vigilanza dell’ANAC e la trasparenza
Il nuovo Codice rafforza il ruolo dell’ANAC nella vigilanza sui contratti pubblici, estendendo i suoi poteri di controllo a tutti i soggetti tenuti al rispetto del Codice, compresi gli ordini professionali. L’Autorità può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni accertate e disporre ispezioni anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse.
Gli ordini professionali sono inoltre tenuti al rispetto degli obblighi di trasparenza previsti dall’art. 28 del nuovo Codice, che impone la trasmissione tempestiva alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici delle informazioni e dei dati relativi alla programmazione e alle procedure del ciclo di vita dei contratti pubblici.
Conclusioni
La sentenza TAR Lazio n. 7455/2024 rappresenta un importante contributo al dibattito sulla natura giuridica degli ordini professionali e sulla portata applicativa del Codice dei Contratti Pubblici.
La pronuncia si caratterizza per offrire una soluzione equilibrata al complesso problema interpretativo posto dalla natura “ancipite” di questi enti. L’orientamento espresso, inoltre, sembrerebbe destinato a consolidarsi nella giurisprudenza amministrativa, contribuendo a definire con maggiore precisione i confini dell’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica. La decisione, infatti, si inserisce nel più ampio processo di razionalizzazione e armonizzazione della disciplina degli appalti pubblici, orientato verso la massima tutela della concorrenza e della trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2023, poi, i principi espressi nella sentenza trovano ulteriore conferma e rafforzamento: il nuovo Codice, infatti, non solo mantiene la qualificazione degli ordini professionali come amministrazioni aggiudicatrici, ma introduce principi generali che orientano l’intera disciplina verso obiettivi di efficienza, trasparenza e concorrenza.
In definitiva, la prevalenza accordata alla natura formalmente pubblica degli ordini professionali, pur nella consapevolezza della loro specificità organizzativa e funzionale, riflette una concezione moderna del diritto amministrativo, attenta agli effetti sostanziali dell’azione pubblica più che alle qualificazioni formali. L’applicazione del D.Lgs. 36/2023 agli ordini professionali rappresenta quindi la naturale evoluzione dell’orientamento giurisprudenziale consolidato, finalizzata a garantire una maggiore tutela della concorrenza e una più efficace realizzazione dell’interesse pubblico nell’affidamento dei contratti pubblici.