Criteri di valutazione del giudice disciplinare
Con la sentenza n. 38 del 24 febbraio scorso, il CNF è tornato a fornire indicazioni sulle modalità di valutazione dell’illecito deontologico da parte dell’organo giudicante, ripercorrendo pedissequamente le indicazioni già fornite dal giudice di legittimità e ad oggi consolidate (Corte di cassazione, SS.UU, sentenza n. 6277 del 4 marzo 2019 ).
In considerazione della natura amministrativa del giudizio disciplinare e del suo scopo, l’organo di disciplina non ha l’obbligo di valutare pedissequamente tutte le evidenze istruttorie portate alla sua attenzione da parte dell’incolpato e tutte le circostanze fattuali dedotte durante il procedimento. In altri termini, il giudice disciplinare non è tenuto a svolgere una disamina particolareggiata di ogni elemento prodotto nel giudizio potendo escludere elementi, prove, circostanze ritenuti non significati e potendo concentrarsi solo su quelli ritenuti conferenti allo scopo della valutazione. In aggiunta, il giudice disciplinare non ha l’obbligo di motivare il mancato accoglimento di tesi difensive proposte dal professionista soggetto al giudizio, essendo il giudizio disciplinare finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico. Nell’ambito del procedimento disciplinare, infatti, è infatti necessario che il provvedimento disciplinare (e dunque la valutazione dell’organo di disciplina) venga suffragato da adeguata motivazione e che il convincimento del giudice della deontologia sia logico e coerente, avuto riguardo agli elementi probatori che il giudice ha ritenuto utili di valutazione e non necessariamente a tutti gli elementi sottoposti al suo esame o prospettatigli.